Da qualche tempo teniamo d’occhio un marchio che sta crescendo grazie ad una strategia monoprodotto con innovazione tecnica: il pantalone in jersey che sembra un denim. Ed è copiato anche dai “big”. Praio, questo il nome del brand, sta percorrendo recentemente anche attività di co-branding e di brand extension. Siamo allora andati a chiedere al suo creatore, Riccardo Manente, quali sono le strategie di sviluppo, e soprattutto, di difesa dalle copie
Brand Jam.: Praio è un brand che sta crescendo in Italia e all’estero. Qual è la ricetta?
Riccardo Manente: Non credo si possa parlare di ricetta. Io ci metto la faccia, molti sacrifici quotidiani, piani di sviluppo chiari e raggiungibili, determinazione, ma soprattutto c’è un’idea. Per primi con Praio abbiamo avuto l’idea di costruire e trattare un pantalone in jersey come un vero pantalone, utilizzando know-how Made in Italy e vecchi macchinari italiani dei jeans. Abbiamo depositato un brevetto di invenzione industriale che ci sta permettendo di prenderci il nostro tempo per crescere e difenderci dalle copie.
Cerco di fare al meglio ciò che credo di saper fare e di aver imparato grazie agli anni passati in Dolce&Gabbana e poi al fianco di Dean&Dan di DSquared2. Si tratta di un lavoro che parte dall’ideazione di collezioni che guardino al passato strizzando l’occhio al futuro, un mix di tutte le leve del marketing e asset finanziari stabili che ci permetta di continuare ad investire, sebbene il momento di crisi economia mondiale metta in crisi molte prospettive ipotizzabili.
B.J.: Partite da una strategia monoprodotto: che sviluppo vedete per il brand?
R.M.: Lo sviluppo è orientato a ciò che ci chiede la “strada”, al di là dell’ambito di riferimento: abbigliamento, accessori e altre categorie. Stiamo diventando un riferimento per il pantalone in jersey: da quanto emerge dalle nostre ricerche di mercato “ se non ti dicono che è jersey non lo capisci” e stiamo inserendo giacche e capospalla grazie alla stretta collaborazione con i nostri clienti che ce li chiedono per incrementare lo spazio riservatoci nei piani di vendita e per “non comprarle da altri”, sempre citando una ricerca di mercato che abbiamo effettuato sui clienti.
B.J.: avete sviluppato un’operazione di co-branding con Leghilà. Ce ne vuoi parlare?
R.M.: Sono professionalmente innamorato di Leghilà e della sua ideatrice, li ho sempre sostenuti e sempre li sosterrò perché sono un’ azienda contenitore di valore.
Abbiamo disegnato insieme alcuni modelli di borse in neoprene, di cui siamo titolari a livello distributivo. Credo molto nel co-branding fra aziende non concorrenti: insieme si può crescere, e il primo esperimento con Leghilà mi ha convinto ancora di più.
B.J. svilupperete altri progetti con altri brand?
R.M.: Si, ma per il momento non possiamo rivelare né i nomi, né i tempi.
B.J. un tema caro ai nostri follower: copie e contraffazione. Voi come vi muovete?
R.M.: Protezione industriale attraverso registrazione di marchi & brevetti, monitoraggio dei concorrenti e accordi commerciali chiari con i nostri dealers. Numerazione seriale dei capi e rilascio, ove richiesto, certificato di origine dei capi anche in ambito Europeo. Presidio della leva produttiva e responsabilizzazione morale e civile della catena dei nostri fornitori, tutti italiani. Se l’Italia deve uscire da questo momento di difficoltà, noi per primi ci dobbiamo credere ed investire nelle nostre compagini produttive e distributive e di sviluppo.
B.J. ultima domanda flash. Brand extension in licenza? Può essere un passo strategico interessante secondo te?
R.M.: Lo può essere nella misura in cui il gruppo che ce lo proponga possa darci un’ottica di extension licensing moderna, non secondo i canoni standard, a mio avviso non più attuali. Lo stesso vale per il co-branding e il co-marketing: noi siamo sempre disposti ad ascoltare, io per primo sostengo non si finisca mai di imparare, ma i tempi di oggi ci impongono l’immissione di vero valore tangibile nei mercati in modo veloce, flessibile, fresco.
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