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In questi ultimi anni la barba e la sua cura maniacale sono divenuti un must, non solo per la scena hipster. Lo sa bene Proraso, che da sempre presidia il mercato e da qualche anno cavalca,  con una comunicazione specifica e numerose attività di cobranding, l’onda della barberia italiana “heritage”.

Abbiamo incontrato Stefano Lippi, brand manager di Proraso, con cui abbiamo avuto un interessante scambio di vedute su concetti cari ai fan di brand jam, come l’heritage branding,  le collaborazioni smart, e la branding innovation che nobilita anche un prodotto di massa.

Brand Jam: La comunicazione Proraso ed i suoi brand ambassador,  titolari di barberie internazionali che sembrano hipster, e persino “donne da barberia”. Partiamo da qui, perché ci sembra il punto focale della strategia di lungo periodo Proraso.

Stefano Lippi: Quella campagna è nata nel 2012, e continuiamo a rinfrescarla ogni anno con nuovi testimonial. Teniamo a sottolineare che nasce da richieste spontanee, che da qualche tempo riceviamo da barbieri internazionali che ci chiedono prodotti made in Italy di qualità e specifici per le loro barberie di alto livello. Siamo l’unico brand italiano in un settore che a livello globale conosce principalmente i prodotti “british”, e più recentemente, americani. I nostri barbieri testimonial sono quindi autentici e genuini, raccontano la loro storia diventando nostri testimonial perché lo sono veramente. Il loro look è assolutamente originale, e non abbiamo influenzato nessuno. Abbiamo inserito anche un soggetto femminile, sempre con la stessa logica.

B.J.: Interessante notare però come l’80% del fatturato Proraso si sviluppa nel mass market tra le multinazionali, ed il prodotto Proraso più venduto è la schiuma da barba, prezzo medio 2.20 €. Il vostro mood si ispira invece alle scene hipster e spot-on globali, tra Pitti Uomo e Monocle. Come funziona questa dinamica?

S.L.: Abbiamo in realtà due anime: quella italiana, dove siamo inseriti sugli scaffali della grande distribuzione dagli anni ‘70, e quella internazionale, più recente, dove siamo recepiti come “un pezzo di Italia”, prodotto a forte connotazione heritage. Qui siamo nell’area premium price, quasi tre volte il prezzo italiano. Il fatto che la cura della barba sia diventata di moda ci ha posti anche in Italia sulla ribalta “hipster”, ma è quasi incidentale, e al Pitti Uomo ad esempio ci siamo, come siamo ad eventi simili, perché vogliamo parlare con i nostri consumatori finali; gli “esteti della barba” qui recentemente si raccolgono in gran numero.

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B.J.: Heritage vs. vintage. La capsule collection 10×10 An Italian Theory x Proraso presentata a Pitti Uomo sembra strizzare l’occhio più all’effetto nostalgia di un’Italia da boom economico che all’heritage della barberia “handcraft” come rituale ricuperato. E’ per captare la benevolenza straniera verso il made in Italy degli anni ruggenti?

S.L.: Certo, vintage al 100%. Alessandro Enriquez di 10×10 An Italian Theory si è ispirato direttamente alle immagini che ha trovato nel nostro archivio di 70 anni di pubblicità, focalizzandosi sul periodo degli anni 60 per raccontare il prodigio dello sviluppo economico italiano di quel periodo. Gli abbiamo lasciato carta bianca senza soffermarci a considerare l’effetto dell’operazione sul mercato italiano o quello straniero; anche in questo caso accogliendo una richiesta spontanea, senza intervenire. Non siamo specializzati in prodotti fashion, né vogliamo atteggiarci a tali, per questo nelle collaborazioni lasciamo spazio.

B.J.: Abbiamo sempre apprezzato le vostre collaborazioni, ed il modo in cui avete portato Proraso su piattaforme distanti dal core business ma incredibilmente affini al vostro posizionamento e lifestyle.

S.L.: Il percorso è sempre lo stesso: vogliamo arrivare a raccontare il piacere della rasatura ai nostri consumatori, che andiamo a trovare a Pitti Uomo, come al Vintage Festival, all’EICMA, sempre con barbieri, mai con operazioni commerciali. Le collaborazioni con altri brand nascono dall’identificazione del target consumatore finale. Il motociclista Triumph è un nostro consumatore: non cerca una moto ma un oggetto non comune, premium, che racconta una storia. Lo stesso vale per Harley Davidson e per Mini, altri marchi con cui abbiamo collaborato, o Jack Daniel’s,  tutti su diversi livelli, ma accomunati da un profilo di cliente finale molto simile.

B.J.: Quali effetti generano queste collaborazioni?

S.L.: In primis c’è l’affermazione del posizionamento: prodotto di qualità italiano, non per tutti seppure di massa, polarizzante. Sono valori che condividiamo con i nostri partner, che ci aiutano a diffonderli con i loro ingredienti. Ma a monte rimane la solidità dei nostri settant’anni, e la consapevolezza che non siamo un prodotto di moda e non vogliamo neppure esserlo.

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